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Diritto all’oblio e motori di ricerca: bilanciamento tra interesse pubblico a rinvenire sul web notizie e riservatezza

Diritto all’oblio e motori di ricerca: bilanciamento tra interesse pubblico a rinvenire sul web notizie e riservatezza

Diritto all’oblio e motori di ricerca: bilanciamento tra interesse pubblico a rinvenire sul web notizie e riservatezza

Un avvocato instaurava un giudizio nei confronti di Google chiedendo, sul presupposto dell’esistenza di un diritto all’oblio, la deindicizzazione di quattordici link risultanti da una ricerca a proprio nome effettuata tramite il motore di ricerca.

In detti link era contenuto il riferimento a una risalente vicenda giudiziaria, nella quale il legale era rimasto coinvolto senza che tuttavia fosse mai stata pronunciata alcuna condanna.

Il ricorrente chiedeva altresì la condanna della controparte al risarcimento del danno derivante dall’asserito illegittimo trattamento dei suoi dati personali.

giuseppebriganti.it (Copyright Immagine Maksym Yemelyanov - Fotolia.com)Il Tribunale di Roma, Sez. I civile, con sentenza n. 23771/2015 depositata il 03/12/2015, rigettava il ricorso osservando quanto segue in materia di bilanciamento tra interesse pubblico alla notizia e diritto all’oblio dell’interessato.

Tutti i links ancora rinvenibili sul motore di ricerca Google a nome di […] contengono il riferimento a notizie di cronaca circa una vicenda giudiziaria in cui il medesimo sarebbe rimasto coinvolto nel 2012/2013 unitamente ad altri personaggi romani, alcuni esponenti del clero ed altri ricondotti alla criminalità della cd. banda della Magliana, relativamente a presunte truffe e guadagni illeciti realizzati dal sodalizio criminoso.

Ebbene, l’odierna vicenda deve essere correttamente inquadrata nel trattamento dei dati personali e nel cd. diritto all’oblio, configurabile quale peculiare espressione del diritto alla riservatezza (privacy) e del legittimo interesse di ciascuno a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona derivante dalla reiterata pubblicazione di una notizia (ovvero nella specie il permanere della sua indicizzazione sui motori di ricerca), con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza (attesa l’attenuazione dell’attualità della notizia e dell’interesse pubblico all’informazione con il trascorrere del tempo dall’accadimento del fatto).

Quest’ultimo, ove ritenuto sussistente, impedisce il protrarsi del trattamento stesso (e quindi l’indicizzazione, con la conseguente fondatezza della domanda di deindicizzazione nei confronti del gestore del motore di ricerca), per come risultante anche dalla recente pronuncia in materia resa dalla Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione del 13.5.2014 nella causa C-131/12, sentenza Costeja), oltre che dalle, conformi, successive decisioni del Garante per la protezione dei dati personali.

Secondo la citata pronuncia, in sintesi, gli utenti – in caso di ricerca nominativa su Google – non possono ottenere dal gestore del motore di ricerca la cancellazione dai risultati di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico: il diritto all’oblio, infatti, deve essere bilanciato, ad avviso della corte, con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti acquisibili per il tramite dei links forniti dal motore di ricerca.

Ad avviso della Corte “occorre ricercare, in situazioni quali quelle oggetto del procedimento principale, un giusto equilibrio segnatamente tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona di cui trattasi derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta. Se indubbiamente i diritti della persona interessata tutelati da tali articoli prevalgono, di norma, anche sul citato interesse degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dell’informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dall’interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica”.

In altri termini, “dato che l’interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”.

[…]

Solo in alcuni casi pertanto, prosegue la pronuncia, la persona interessata può “esigere dal gestore di un motore di ricerca che questi sopprima dall’elenco di risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di questa persona, dei link verso pagine web legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere riguardanti quest’ultima, a motivo del fatto che tali informazioni possono arrecarle pregiudizio o che essa desidera l’«oblio» di queste informazioni dopo un certo tempo”.

E’ dunque necessario, spiega la Corte, “verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome”.

La pronuncia citata ha quindi previsto l’obbligo, per un motore di ricerca (nel caso di specie, Google), di rimuovere dai propri risultati (cd. “deindicizzazione”) i link a quei siti che siano ritenuti dagli interessati lesivi del loro “diritto all’oblio” (o “right to be forgotten”), in relazione alla pretesa a ottenere la cancellazione dei contenuti delle pagine web che, secondo l’interessato, offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona.

Nel caso in cui il motore di ricerca non accolga la richiesta, l’interessato potrà rivolgersi all’autorità nazionale per la protezione dei dati personali o all’autorità giudiziaria.

Il 26 novembre 2014 l’Article 29 Data Protection Working Party (organo consultivo indipendente istituito in conformità all’articolo 29 della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali) ha pubblicato delle linee guida per l’implementazione della menzionata pronuncia della Corte di Giustizia (causa C−131/12), le quali per quel che qui specificamente interessa contengono una serie di criteri per orientare l’attività delle autorità nazionali nella gestione dei reclami degli interessati a seguito del mancato accoglimento, da parte del motore di ricerca, delle richieste di deindicizzazione, chiarendo che nessun criterio è di per sé determinante. Tra di essi, figura in primo luogo quello della natura del richiedente (in particolare, la circostanza per cui il richiedente rivesta un ruolo di rilievo pubblico, come nel caso di personaggi politici, dovrebbe tendenzialmente orientare verso il diniego della richiesta di deindicizzazione).

I principi esposti dalla riportata pronuncia e contenuti nelle linee guida emanate dal WP29 nello scorso mese di novembre sono stati infine integralmente recepiti dal Garante Privacy nelle decisioni rese successivamente ad essa (cfr., ad esempio, decisione n. 618 del 18 dicembre 2014 e n. 153 del 12.3.2015, quest’ultima prodotta dalla stessa parte resistente agli atti del giudizio).

Nella decisione n. 618/2014 ad esempio il Garante ha respinto il ricorso di una persona che contestava la decisione del motore di ricerca di non deindicizzare un articolo che riferiva di un’inchiesta giudiziaria in cui risultava implicata osservando che il trattamento dei dati personali del ricorrente era avvenuto in origine per finalità giornalistiche secondo quanto previsto dagli artt. 136 ss. del Codice, nonché dalle disposizioni contenute nel “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (allegato A del Codice medesimo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1998) ed era stato effettuato lecitamente e nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico relativi ad una vicenda giudiziaria recente e di indubbio interesse pubblico, soprattutto nell’ambito locale in cui si sono verificati i fatti descritti, non sussistendo quindi i presupposti riconosciuti dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 13 maggio 2014 per l’esercizio del diritto all’oblio, anche in considerazione del fatto che i medesimi risultavano essere assolutamente recenti, oltre che di pubblico interesse.

Ancora, nella seconda, è stato evidenziato che il diritto all’oblio, “anche ove sussista il suo principale elemento costitutivo, ovvero il trascorrere del tempo, incontra un limite quando le informazioni in questione sono riferite al ruolo che l’interessato riveste nella vita pubblica con conseguente prevalenza dell’interesse e della collettività ad accedere alle stesse rispetto al diritto dell’interessato alla protezione dei dati” e sono state inoltre richiamate le predette linee guida nella parte in cui è individuato tra i criteri per la disamina delle richieste di deindicizzazione da parte dei motori di ricerca quello del ruolo dell’interessato nella vita pubblica e quello della natura pubblica o privata delle informazioni allo stesso riferite (è stata infatti rigettata, nella richiamata prospettiva, la richiesta essendo le notizie state pubblicate in un arco temporale compreso tra il 2010 ed il 2012, risultate ad avviso del Garante recenti ed ancora di pubblico interesse in quanto riguardanti un’importante indagine giudiziaria non ancora conclusa, nell’ambito della quale i profili attinenti a momenti passati assumevano rilievo alla luce dell’attività professionale esercitata dall’istante).

Alla luce dei principi emersi dalle menzionate pronunce, oltre che dalle riportate linee guida, deve ritenersi che le notizie individuate tramite il motore di ricerca risultano, nella specie, piuttosto recenti; invero, il trascorrere del tempo, ai fini della configurazione del diritto all’oblio, si configura quale elemento costitutivo, come risultante anche dalla condivisibile sentenza n. 5525/2012 della Suprema Corte, nella quale questo viene configurato quale diritto “a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”, presupposto nella specie assolutamente insussistente, risalendo i fatti al non lontano 2013 (o al più al luglio 2012, secondo due dei risultati della ricerca) ed essendo pertanto gli stessi ancora attuali.

Del resto, la medesima appare di sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale romano, verosimilmente non ancora conclusa, stante la mancata produzione da parte dell’istante di documentazione in tal senso (archiviazioni, sentenze favorevoli…).

I dati personali riportati risultano quindi trattati nel pieno rispetto del principio di essenzialità dell’informazione.

Né può in questa sede il ricorrente dolersi della falsità delle notizie riportate dai siti visualizzabili per effetto della ricerca a suo nome, non essendo configurabile alcuna responsabilità al riguardo da parte del gestore del motore di ricerca (nella specie Google), il quale opera unicamente quale “caching provider” ex art. 15 d.lgs. n. 70/2003: in tale prospettiva pertanto il medesimo avrebbe dovuto agire a tutela della propria reputazione e riservatezza direttamente nei confronti dei gestori dei siti terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione del singolo articolo di cronaca, qualora la predetta notizia non sia stata riportata fedelmente, ovvero non sia stata rettificata, integrata od aggiornata coi successivi risvolti dell’indagine, magari favorevoli all’odierno istante (il quale peraltro deduce di non aver riportato condanne e produce certificato negativo del casellario giudiziale).

Ancora, risulta che l’odierno ricorrente è avvocato in Svizzera, libero professionista, circostanza che consente di ritenere che questo eserciti un “ruolo pubblico” proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile al solo politico (cfr. linee guida del 26.11.20014) ma anche agli alti funzionari pubblici ed agli uomini d’affari (oltre che agli iscritti in albi professionali).

In conclusione, nell’ottica del sopra menzionato bilanciamento, l’interesse pubblico a rinvenire sul web attraverso il motore di ricerca gestito dalla resistente notizie circa il ricorrente deve prevalere sul diritto all’oblio dal medesimo vantato.

La domanda deve pertanto essere integralmente respinta, con liquidazione delle spese di lite secondo il principio della soccombenza, nella misura di cui in dispositivo ed in difetto di nota.

Studio legale Avvocato Giuseppe Briganti

Pesaro-Urbino

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