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Fotografie diffuse in Rete e privacy: quando è reato?

Fotografie diffuse in Rete e privacy: quando è reato?

Fotografie e privacy su Internet: il nocumento è elemento costitutivo del reato di trattamento illecito di dati personali

Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione, sez. III penale, con la sentenza 5 febbraio – 6 ottobre 2015, n. 40103, riguarda un soggetto imputato del reato di cui all’art. 167 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (trattamento illecito di dati personali) perché, sosteneva l’accusa, al fine di trarne profitto e di recare danno alla persona offesa, aveva proceduto, senza il loro consenso, al trattamento dei dati personali di due soggetti trasmettendo a due siti internet fotografie che li ritraevano in attività professionali, con i relativi commenti scritti; fotografie e commenti che, in violazione dell’art. 23 d.lgs. n. 196 del 2003 (consenso al trattamento dei dati personali), erano stati poi diffusi in Rete, con conseguente nocumento delle persone offese derivante dallo scioglimento delle relazioni professionali in relazione alle quali stavano effettuando le attività riprese e indebitamente diffuse.

Con la sentenza in parola la Corte afferma però che per aversi reato di trattamento illecito di dati il nocumento, ossia il pregiudizio giuridicamente rilevante richiesto dalla norma incriminatrice, in quanto elemento costitutivo del reato, deve essere previsto e voluto come conseguenza della propria azione. Non è perciò sufficiente che esso costituisca conseguenza non voluta (ancorché prevista o prevedibile) dell’illecito trattamento dei dati personali.

La sentenza in materia di fotografie diffuse in Rete e reato di trattamento illecito di dati personali

In particolare, afferma la Corte di Cassazione con la sentenza citata:

[…] L’art. 167, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, intitolato “Trattamento illecito di dati”, punisce con la reclusione da uno a tre anni la condotta di chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, “se dal fatto deriva nocumento”.

[…] Come affermato da questa Corte, per “nocumento” deve intendersi un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti

[…] La “trasformazione” del “nocumento” da circostanza aggravante del reato a condizione obiettiva “intrinseca” di punibilità è tesi pressoché unanimemente accolta dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte […] ma è contrastata in dottrina, parte della quale ritiene, per converso, trattarsi di vero e proprio elemento costitutivo del reato.

[…] Nel caso specifico, la difficoltà di qualificare il nocumento come condizione (ancorché intrinseca) di punibilità (che ne giustificherebbe l’imputazione all’autore della condotta anche a titolo di colpa), deriva dal fatto che, sul piano strutturale, esso costituisce l’evento che giustifica la punibilità del reato, cui cioè è attribuito il compito di selezionare le condotte offensive da quelle che non lo sono. Sicché è a dir poco anomalo che: a) la condotta di illecito o comunque irregolare trattamento dei dati personali deve essere voluta mentre la conseguenza che ne deriva (che segna il superamento della soglia della penale rilevanza) possa essere imputata indifferentemente anche a titolo di colpa (e dunque non voluta); b) l’elemento soggettivo doloso è cioè necessario per condotte che non rendono attuale l’offesa e che dunque sono penalmente irrilevanti, ma se ne possa prescindere per le conseguenze (il nocumento) che, come detto, rendono concreto e attuale il danno (o il pericolo di danno) e penalmente rilevante la condotta.

[…] Si tratta, dunque, di un elemento costitutivo del reato, punibile, nel caso di specie, a titolo di dolo.

[…] Ne consegue che il “nocumento” deve essere previsto e voluto come conseguenza della propria azione, indipendentemente dal fatto che costituisca o si identifichi con il fine dell’azione stessa; è sufficiente, quando ciò non accada (quando cioè il fine sia quello di trarre profitto dall’illecito trattamento dei dati o di recare danno a persona diversa da quella oggetto di trattamento), che il nocumento sia anche solo previsto e accettato come conseguenza della condotta. Non è perciò sufficiente che esso costituisca conseguenza non voluta (ancorché prevista o prevedibile) dell’illecito trattamento dei dati personali.

Studio legale Avvocato Giuseppe Briganti

Pesaro-Urbino

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